lunedì 27 febbraio 2012

Un ciclista da marciapiede - link

Giro questo post su un blog che ho scoperto oggi e che probabilmente costituisce la migliore raccolta di idee e considerazioni ragionate in termini di ciclabilità urbana in Italia. Buona lettura!


Premetto che sono molto arrabbiato. Da ormai due settimane partecipo attivamente alla campagna “Salviamo i ciclisti”, promotrice di un ripensamento del luogo comune che vuole i ciclisti corresponsabili della pericolosità delle strade. È un lavoro iniziato a Roma due anni fa, avviato dalla morte di Eva, proseguito attraverso il coordinamento Di Traffico Si Muore, e che è finalmente approdato ad una dimensione nazionale.
Giusto ieri la fatidica goccia che fa traboccare il vaso: il comune di Milano commemora la memoria di Giacomo, ragazzo di quattordici anni schiacciato da un tram per colpa dell’apertura distratta della portiera di un’auto parcheggiata in seconda fila. Lo fa con un “Manuale per la sicurezza del Ciclista” in formato e-book (non intendo linkarlo, cercatevelo) nel quale, per l’ennesima volta, di tutto l’onere della sicurezza sulle strade si fanno carico unicamente i ciclisti, oltretutto ribadendo l’obbligo di “rispettare le regole” del CDS.
Difficile far comprendere a dei non ciclisti la rabbia che sto provando in questo momento, come pure la vergogna che provo nei confronti di quell’amministrazione comunale, specchio di ogni altra amministrazione pubblica italiana, sottoprodotti di un elettorato pigro, opportunista e conformista, appiattito sui luoghi comuni che i mass media e la pubblicità delle case automobilistiche veicolano da decenni.
Difficile, dicevo, ma ci proverò. Con degli esempi.
Immaginate di voler “commemorare” la memoria di una donna stuprata ed uccisa con un manuale di comportamento che inviti le donne ad indossare il Burqa, a non uscire da sole, a rinunciare alla propria autonomia e libertà.
Immaginate di voler “commemorare” i bambini mutilati ed uccisi dalle mine anti-uomo fabbricate in Italia con un manuale che suggerisca ai bambini che vivono nei teatri di guerra di non raccogliere oggetti strani, e se possibile che le famiglie stesse non li facciano uscire di casa.
Non vi sembrerebbero delle beffe crudeli? Non vi sembrerebbero proposte oscene?
Beh, qui siamo in una situazione del tutto analoga. Le strade italiane mietono più vittime “civili”, ovvero utenti disarmati come pedoni e ciclisti, di un qualsiasi teatro di guerra. Vediamo i funerali di stato per occasionali soldati uccisi in Afghanistan, ma le migliaia di vittime della motorizzazione di massa passano quotidianamente sotto silenzio.
La stampa parla di “incidenti”, ma migliaia di morti ogni anno, per decenni, sempre con le stesse dinamiche non sono classificabili come incidenti, sono l’indicazione di un meccanismo fallace, sbagliato, sostanzialmente criminale e purtroppo impossibile da rimettere in discussione. La pericolosità delle automobili, la loro parificazione con armi di offesa, è un tabù immenzionabile, un tragico “rimosso” della cultura contemporanea.
A questi signori, che pontificano dall’alto di lussuosi scranni di cose che non conoscono, che non hanno mai percorso in prima persona in bicicletta quelle stesse strade sulle quali veniamo falciati ed uccisi quasi ogni giorno, che si limitano a buttarci un occhio annoiato mentre vengono scarrozzati sulle auto blu, che hanno abbandonato le pubbliche strade all’arroganza del più forte, alla cafonaggine del “più grosso”, all’abbandono ed al “far-west”, e nonostante questo pretendono di insegnarci quello che “dobbiamo fare” per la nostra sicurezza, vanno tutta la mia disistima ed il mio disprezzo.
Io lo so benissimo cosa devo fare per la mia sicurezza. L’ho imparato sulla mia pelle in ventiquattro anni di ciclismo urbano sulle strade di una città violenta e selvaggia come Roma. L’ho imparando vedendo amici e conoscenti incidentati, traumatizzati, finiti in coma, morti. Domandandomi ogni volta che si usciva insieme “Chi sarà il prossimo? A chi toccherà la prossima volta?” L’ho imparato e sono sopravvissuto.
E la dura lezione della strada è semplice e brutale: “dimenticati delle leggi fatte dagli altri… se vuoi sopravvivere le leggi fattele da te, e rispetta solo quelle”. Il Codice della Strada italiano ha delle norme in teoria molto valide. Ma se vengono sistematicamente ignorate e disattese, se non vengono fatte rispettare a quelli che rischiano la pelle altrui e non la propria, diventa ancor meno utile della carta igienica.
Il Codice della Strada ci obbliga a stare sulla carreggiata, ma non è in grado di obbligare le automobili a sorpassarci ad una distanza di sicurezza, negandoci di fatto la fruizione di quello spazio. Non stupisca se a quel punto me ne prendo altri. Ho bici ammortizzate in grado di salire e scendere al volo dai marciapiedi: mi prendo i marciapiedi. Non sono meglio della strada, mi rallentano e mi fanno litigare coi pedoni, ma rappresentano comunque un male minore rispetto alle fratture o alla morte.
Le piste ciclabili sono fatte male, sconnesse, spezzettate, sporche, semi-abbandonate, ingombre di pali, raffazzonate… se ho fretta mi riprendo la strada, con buona pace del fatto che il CDS mi obblighi a stare sulla pista.
E quando sono sulla sede stradale, se posso avvantaggiarmi di un tratto libero dal traffico “bruciando” un semaforo in sicurezza non ci penso su due volte. Più lontano mi tengo dalle automobili più difficilmente potranno urtarmi. Passo sui prati, scendo scalinate, imbocco strade contromano, ma non per divertimento o allegra incoscienza, semplicemente per tutelare la mia sicurezza, dal momento che né la legge né lo stato se ne preoccupano minimamente.
Non pretendo che questo mio comportamento venga preso a modello, non sto qui ad incoraggiare altri a seguirlo, è semplicemente il risultato di un’evoluzione personale. Non copiatemi perché su di voi potrebbe non funzionare: servono riflessi pronti, esperienza, freddezza ed una esatta percezione dell’istante.
Ma ho già visto troppi ciclisti rispettare le leggi e venir falciate da altri che non le rispettavano, il tutto nell’indifferenza o con la connivenza delle pubbliche amministrazioni a qualsiasi livello, nel perenne rimasticamento di luoghi comuni dei mass-media, nelle “lacrime di coccodrillo” del politico di turno. Non si può pretendere il rispetto delle leggi da parte dei soggetti maggiormente penalizzati da quelle stesse leggi, quando poi si abbandonano le strade al totale arbitrio, all’anarchia, alla giungla.
Quello che mi sento di dire ai ciclisti è molto semplice: il rispetto delle leggi non vale la vostra vita. Rispettate voi stessi, perché le leggi non vi rispettano, né tantomeno gli utenti “corazzati” della strada lo faranno. Tutelate voi stessi, perché il codice della strada non vi tutela, gli organi preposti non vi tutelano, gli amministratori pubblici non vi tutelano, i legislatori non vi tutelano.
Indossate pure il casco, ma non fidatevi del casco.
Accendete pure le luci di notte, ma non fidatevi delle luci.
Rispettate pure il CDS, ma non fidatevi del CDS.
Condividete pure la strada con le automobili, ma non fidatevi delle automobili.
E soprattutto… state attenti là fuori, è un mondo spietato.
E tale rimarrà finché non l’avremo cambiato.

1 commento:

Dani ha detto...

L'incidente di Milano non è stato causato dall'inesperienza o altro del ragazzino, ma dalla cafonaggine di chi posteggia in seconda fila e da chi apre le portiere senza guardare dietro. Ogni giorno, in ogni posto, noto ciò. Quante auto vengono multate per la sosta illegale selvaggia? Ora ci si concentra, e mi sta molto bene, sui limiti di velocità sforati con gli autovelox (e il problema della gggente, degli italioti, non è rispettarli, ma trovare strade dove non ci siano, pensa te che stronzi!), ma non è solo questa, la velocità, che uccide, infatti ci sono tante piccole manovre che possono essere pericolose (portiere aperte e frecce non messe).

Andare in bici è pericoloso perchè è pieno di auto e ora con la crisi economica che tutti hanno sempre in testa, questi son più nevrastenici e incazzati col prossimo per le loro sconfitte economiche da veri schiavi del dio denaro che mai, perciò se avessi un figlio gli direi di andare sui marciapiedi e basta, niente piste ciclabili visto che molte hanno incroci pericolosi (dalle mie parti ce n'è una messa accanto a 3 uscite di cortili in pochi metri, ma che senso ha? Passo nella via affianco o su strada o sotto i portici e sono più sicuro!), meno che mai le strade, ovviamente.

Il ciclista vive nell'insicurezza, quindi come dice questo ragazzo, i manualetti sulla sicurezza li dovrebbero mettere sui lunotti di tutte le auto posteggiate, visto che sono le auto a creare scompiglio per pedoni e ciclisti, ovvero esseri umani che si spostano in maniera i primi completamente naturale, i secondi con pochi orpelli. Ma in un mondo che si fa vanto della sua tecnica e scienza, i pedoni e ciclisti devono solo crepare perchè le macchine, nostra grande invenzione, devono dominare.

Non c'è una soluzione. Dobbiamo solo aspettare che la benza aumenti ancora di più assieme alle imposte e tasse e che gli stipendi calino, così ci saranno un sacco di ciclisti in più, fra cui tanti ex spavaldi automobilisti inconsciamente assassini.
Al momento nè bambini nè adulti e anziani possono pedalare bene, perchè ci va sì esperienza, ma unita prontezza di riflessi e sopportazione del dolore (in caso di caduta) e nervi saldi, è facile incazzarsi per piccole malefatte.