lunedì 11 giugno 2012

Disagio agonistico.

Nelle ultime garette che ho disputato sono riuscito a collezionare una lista di inconvenienti meccanici degna del miglior Fantozzi.

- All'ultima alleycat milanese ho bucato a pochi km dall'arrivo e con un check mancante... arrivato fuori tempo massimo.
- Alla 24h di Finale nel manettino del deragliatore posteriore ha smesso di funzionare l'indicatore e la catena non saliva più sui 2 pignoni più grossi. Alla fine sono riuscito a girare lo stesso, ma sulle salitazze in single track se davanti mi trovavo un catrame che non andava avanti ero costretto a fermarmi perché tra 29" e rapporti lunghi non potevo scendere sotto una certa velocità.
- Domenica scorsa alla Granfondo di Saint Vincent ho bucato ben 2 volte a causa di un mimetico taglietto sul copertoncino posteriore.  La prima foratura subito dopo la partenza mi ha costretto a fare 25 km da solo contro il vento prima di riuscire a prendere la coda del gruppo sulla prima salita. Poi la seconda volta in piena discesa con annesse urla di rabbia e florilegio di bestemmie. Risultato: gara a puttane e tutta la discesa su Saint Vincent sul cerchio.

Ovviamente in allenamento ste cose non succedono mai, sempre meglio aspettare le giornate importanti per far capitare qualche rogna, grazie Murphy. Ma sapete come si dice, sfortunato al gioco...


giovedì 19 aprile 2012

Lucchetti e amplificatori.

Quando una decina di anni fa iniziai a suonare la chitarra elettrica, giunto il momento di comprare il primo strumento, gente più esperta di me mi diede un consiglio fondamentale sull'acquisto dell'amplificatore: evitare assolutamente i prodotti di gamma media. Se quello che cerchiamo è un prezzo contenuto, delle dimensioni accettabili e una buona portabilità bisogna orientarsi su un apparecchio di bassa gamma che sicuramente non sarà in grado di sostenere un live su un palco degno di questo nome, ma sarà un ottimo amplificatore per esercitarsi in casa (dove i watt servono solo a litigare coi vicini), per portarselo dietro quando si va a cazzeggiare a casa di amici, per infilarlo comodamente nel bagagliaio dell'auto durante i viaggi o sotto il letto se c'è da fare ordine in camera, etc... Per intenderci un transistor con cono da 8" intorno ai 10 / 15 watt potrebbe essere un ottimo candidato per queste necessità. Se invece abbiamo bisogno di un'ottima resa sonora per bucare il mix dal vivo e registrare delle performance valide in studio non ci sono alternative ad aprire il portafogli e prepararsi a rompersi la schiena  per trasportare il nostro ampli quando c'è da muoversi con la band. E qui si parte da un combo con cono da 12" con pre e finale a valvole intorno ai 30 watt. A volerci spendere tanto anche un bel testa e cassa anche se si rischia di esagerare, ma questo è un altro discorso. I prodotti di gamma media invece hanno la spiacevole caratteristica di ereditare i difetti sia delgi entry level che degli high end, ma senza i vantaggi di nessuno: saranno più cari, pesanti e ingombranti di un ampli quasi giocattolo, ma allo stesso tempo non saranno abbastanza efficaci come un prodotto di alta gamma nelle situazioni dove è richiesta una buona qualità sonora e tanto volume.
Bene, con i lucchetti da bici le cose sono proprio identiche. Se abbiamo bisogno di un lucchettino piccolo, economico, da infilare in fondo allo zaino e leggero abbastanza che non ci penalizzi in salita andrà benissimo un modello a cavetto d'acciaio intrecciato o una micro catenella. Usare un simile sistema di chiusura in una grande città equivale a furto certo, ma per legare la mtb fuori dal rifugio in alta montagna o la fissa nel vagone biciclette del treno nelle trasferte per le alleycat sarà sufficiente. Quando invece l'obiettivo è ritrovare la bici dopo averla legata in zone ad alta criminalità le chiacchiere stanno a zero: serve una bella catenzazza o un buon u-lock spesso almeno 10 mm (ma meglio se sono 12), resistente ad attacchi a leva e con una serratura che non si apra col lock picking o con le bump key. Sarà sicuramente scomodo portarsi dietro un arnese del genere (sebbene io ormai il mio fido on-guard bulldog mini non lo senta quasi più quando ce l'ho infilato nella cintura) ma potremo goderci la mobilità cittadina a pedali senza spiacevoli sorprese. Ed esattamente come per gli amplificatori da chitarra, tutti i prodotti di gamma media oltre a essere scomodi da trasportare verranno tutti indistintamente aperti dal ladro di turno. Poco importa se la treccia di cavo d'acciaio è spessa 5, 10 o 15 mm: con un paio di colpi di tagliabulloni lo scassinamento sarà andato a buon fine. Idem per le catene: sotto i 10 millimetri non c'è sicurezza.
La gamma media in questi ambiti ha il solo tristissimo scopo di riempire una fascia di prezzo che rischierebbe di rimanere vuota e far guadagnare più soldi alle case produttrici.

lunedì 27 febbraio 2012

Un ciclista da marciapiede - link

Giro questo post su un blog che ho scoperto oggi e che probabilmente costituisce la migliore raccolta di idee e considerazioni ragionate in termini di ciclabilità urbana in Italia. Buona lettura!


Premetto che sono molto arrabbiato. Da ormai due settimane partecipo attivamente alla campagna “Salviamo i ciclisti”, promotrice di un ripensamento del luogo comune che vuole i ciclisti corresponsabili della pericolosità delle strade. È un lavoro iniziato a Roma due anni fa, avviato dalla morte di Eva, proseguito attraverso il coordinamento Di Traffico Si Muore, e che è finalmente approdato ad una dimensione nazionale.
Giusto ieri la fatidica goccia che fa traboccare il vaso: il comune di Milano commemora la memoria di Giacomo, ragazzo di quattordici anni schiacciato da un tram per colpa dell’apertura distratta della portiera di un’auto parcheggiata in seconda fila. Lo fa con un “Manuale per la sicurezza del Ciclista” in formato e-book (non intendo linkarlo, cercatevelo) nel quale, per l’ennesima volta, di tutto l’onere della sicurezza sulle strade si fanno carico unicamente i ciclisti, oltretutto ribadendo l’obbligo di “rispettare le regole” del CDS.
Difficile far comprendere a dei non ciclisti la rabbia che sto provando in questo momento, come pure la vergogna che provo nei confronti di quell’amministrazione comunale, specchio di ogni altra amministrazione pubblica italiana, sottoprodotti di un elettorato pigro, opportunista e conformista, appiattito sui luoghi comuni che i mass media e la pubblicità delle case automobilistiche veicolano da decenni.
Difficile, dicevo, ma ci proverò. Con degli esempi.
Immaginate di voler “commemorare” la memoria di una donna stuprata ed uccisa con un manuale di comportamento che inviti le donne ad indossare il Burqa, a non uscire da sole, a rinunciare alla propria autonomia e libertà.
Immaginate di voler “commemorare” i bambini mutilati ed uccisi dalle mine anti-uomo fabbricate in Italia con un manuale che suggerisca ai bambini che vivono nei teatri di guerra di non raccogliere oggetti strani, e se possibile che le famiglie stesse non li facciano uscire di casa.
Non vi sembrerebbero delle beffe crudeli? Non vi sembrerebbero proposte oscene?
Beh, qui siamo in una situazione del tutto analoga. Le strade italiane mietono più vittime “civili”, ovvero utenti disarmati come pedoni e ciclisti, di un qualsiasi teatro di guerra. Vediamo i funerali di stato per occasionali soldati uccisi in Afghanistan, ma le migliaia di vittime della motorizzazione di massa passano quotidianamente sotto silenzio.
La stampa parla di “incidenti”, ma migliaia di morti ogni anno, per decenni, sempre con le stesse dinamiche non sono classificabili come incidenti, sono l’indicazione di un meccanismo fallace, sbagliato, sostanzialmente criminale e purtroppo impossibile da rimettere in discussione. La pericolosità delle automobili, la loro parificazione con armi di offesa, è un tabù immenzionabile, un tragico “rimosso” della cultura contemporanea.
A questi signori, che pontificano dall’alto di lussuosi scranni di cose che non conoscono, che non hanno mai percorso in prima persona in bicicletta quelle stesse strade sulle quali veniamo falciati ed uccisi quasi ogni giorno, che si limitano a buttarci un occhio annoiato mentre vengono scarrozzati sulle auto blu, che hanno abbandonato le pubbliche strade all’arroganza del più forte, alla cafonaggine del “più grosso”, all’abbandono ed al “far-west”, e nonostante questo pretendono di insegnarci quello che “dobbiamo fare” per la nostra sicurezza, vanno tutta la mia disistima ed il mio disprezzo.
Io lo so benissimo cosa devo fare per la mia sicurezza. L’ho imparato sulla mia pelle in ventiquattro anni di ciclismo urbano sulle strade di una città violenta e selvaggia come Roma. L’ho imparando vedendo amici e conoscenti incidentati, traumatizzati, finiti in coma, morti. Domandandomi ogni volta che si usciva insieme “Chi sarà il prossimo? A chi toccherà la prossima volta?” L’ho imparato e sono sopravvissuto.
E la dura lezione della strada è semplice e brutale: “dimenticati delle leggi fatte dagli altri… se vuoi sopravvivere le leggi fattele da te, e rispetta solo quelle”. Il Codice della Strada italiano ha delle norme in teoria molto valide. Ma se vengono sistematicamente ignorate e disattese, se non vengono fatte rispettare a quelli che rischiano la pelle altrui e non la propria, diventa ancor meno utile della carta igienica.
Il Codice della Strada ci obbliga a stare sulla carreggiata, ma non è in grado di obbligare le automobili a sorpassarci ad una distanza di sicurezza, negandoci di fatto la fruizione di quello spazio. Non stupisca se a quel punto me ne prendo altri. Ho bici ammortizzate in grado di salire e scendere al volo dai marciapiedi: mi prendo i marciapiedi. Non sono meglio della strada, mi rallentano e mi fanno litigare coi pedoni, ma rappresentano comunque un male minore rispetto alle fratture o alla morte.
Le piste ciclabili sono fatte male, sconnesse, spezzettate, sporche, semi-abbandonate, ingombre di pali, raffazzonate… se ho fretta mi riprendo la strada, con buona pace del fatto che il CDS mi obblighi a stare sulla pista.
E quando sono sulla sede stradale, se posso avvantaggiarmi di un tratto libero dal traffico “bruciando” un semaforo in sicurezza non ci penso su due volte. Più lontano mi tengo dalle automobili più difficilmente potranno urtarmi. Passo sui prati, scendo scalinate, imbocco strade contromano, ma non per divertimento o allegra incoscienza, semplicemente per tutelare la mia sicurezza, dal momento che né la legge né lo stato se ne preoccupano minimamente.
Non pretendo che questo mio comportamento venga preso a modello, non sto qui ad incoraggiare altri a seguirlo, è semplicemente il risultato di un’evoluzione personale. Non copiatemi perché su di voi potrebbe non funzionare: servono riflessi pronti, esperienza, freddezza ed una esatta percezione dell’istante.
Ma ho già visto troppi ciclisti rispettare le leggi e venir falciate da altri che non le rispettavano, il tutto nell’indifferenza o con la connivenza delle pubbliche amministrazioni a qualsiasi livello, nel perenne rimasticamento di luoghi comuni dei mass-media, nelle “lacrime di coccodrillo” del politico di turno. Non si può pretendere il rispetto delle leggi da parte dei soggetti maggiormente penalizzati da quelle stesse leggi, quando poi si abbandonano le strade al totale arbitrio, all’anarchia, alla giungla.
Quello che mi sento di dire ai ciclisti è molto semplice: il rispetto delle leggi non vale la vostra vita. Rispettate voi stessi, perché le leggi non vi rispettano, né tantomeno gli utenti “corazzati” della strada lo faranno. Tutelate voi stessi, perché il codice della strada non vi tutela, gli organi preposti non vi tutelano, gli amministratori pubblici non vi tutelano, i legislatori non vi tutelano.
Indossate pure il casco, ma non fidatevi del casco.
Accendete pure le luci di notte, ma non fidatevi delle luci.
Rispettate pure il CDS, ma non fidatevi del CDS.
Condividete pure la strada con le automobili, ma non fidatevi delle automobili.
E soprattutto… state attenti là fuori, è un mondo spietato.
E tale rimarrà finché non l’avremo cambiato.

giovedì 16 febbraio 2012

Torino smart city

Sarò io che non capisco nulla di urbanistica, ma vorrei che qualcuno mi spiegasse una volta per tutte che cosa significa smart city. Perché quello che intendo io è una città senza barriere architettoniche e con una logistica furba che privilegia il trasporto pubblico rispetto a quello privato e la mobilità sostenibile rispetto a quella sporca. Evidentemente chi amministra la città di Torino ha una visione leggerissimamente diversa dalla mia perché non appena sono caduti 20 cm di neve è stato subito chiaro per cosa bisognava sbattersi a pulire affinché fosse di nuovo tutto operativo nel minor tempo possibile e per cosa invece si poteva tranquillamente aspettare il disgelo primaverile. I viali centrali dei corsi principali sono stati i primi a essere salati, poi è toccato alle vie minori, in seguito è stata la volta dei marciapiedi e nemmeno tutti (tanto se un invalido vuole muoversi sono solo cazzi suoi nella smart city) e per le piste ciclabili ad oggi non è stata ancora fatta una beata minchia.

Le seguenti foto sono del 15/02/2012 quando l'emergenza neve era già finita da giorni e le strade erano tutte perfettamente percorribili senza eccezioni.

Corso Mediterraneo angolo Corso Stati Uniti - Per la curva in fondo prima del semaforo mi raccomando piede a terra e giù di contro sterzo.


Corso Matteotti, ingresso ciclabile angolo Corso Vinzaglio - Un bel bunny hop e via.


Corso Matteotti - Tecnica libera.


Corso Matteotti - Area biathlon.


Corso Stati Uniti - pochi metri di asfalto pulito e poi via, verso l'infinito e oltre!


Via dell'Arcivescovado - Qui non essendoci barriere fisiche la pista è percorribile perché lo stesso sale usato per pulire la strada ha liberato anche la pista. Ah, poi se ci devi stare solo 5 minuti con le 4 frecce non c'è problema.


Insomma, diciamo le cose chiaramente: l'unica cosa smart che il nostro favoloso sindaco e la sua giunta (eletta anche coi voti degli ecologisti ricordiamocelo) sono riusciti a fare è questa pagliacciata di video. Ma è nelle situazioni critiche che emerge veramente chi è in grado di agire e chi sa solo chiacchierare. Volete la smart city? Benissimo: prima cosa, pulite i marciapiedi e le corsie preferenziali, poi le ciclabili e poi il resto. Scelta ardita, ma di sicuro effetto e che renderebbe credibili tutte le parole dette. Se non c'è il coraggio di fare certe scelte sarebbe più opportuno avere almeno la decenza di tacere.

Passando alle azioni concrete è evidente che la priorità era il trasporto automobilistico privato con tanto di sospensione ZTL che aiuta sempre, tutto molto smart. E le bici chissenefrega tanto sono solo 4 poveri sfigati nulla facenti che si divertono a fare gli ecologisti radical chic.

venerdì 3 febbraio 2012

Alleyfuck - 18/02/2012


Il flyer dice già tutto: alleycat a Torino. E quest'anno darò davvero spettacolo!

venerdì 27 gennaio 2012

Un anno con le DZR GMT-8: recensione!

E da un anno buono che sulla fissa da città pedalo con delle DZR GMT-8 e ho pensato di fare una recensione per cercare di capire se queste scarpe sono in grado di soddisfare le esigenze del ciclista urbano che vuole usare i pedali automatici e allo stesso tempo avere una calzatura dall'aspetto civile e comoda per camminare.

- look
Esteticamente le GMT-8 sono un mix ben riuscito di una scarpa da skate e una da tempo libero. La tela che costituisce gran parte della calzatura ricorda molto le Converse All star, mentre la forma è più simile a una scarpa da skate tradizionale come quelle prodotte da DC, Vans, Circa, etc...
L'inserto catarifrangente a forma di maglia di catena sul retro della scarpa è quella chicca che rende questo prodotto ancora più chic.

L'unica nota negativa per quel che riguarda il look è l'utilizzo di troppe parti di colore bianco che finiscono per sporcarsi molto presto se si gira per locali affollati: e siccome io sono un supergiovane che continua a bazzicare per pub e discoteche mi trovavo sempre a doverle pulire per evitare di fare la figura del clochard. Ma pare che sia una tendenza abbastanza in voga anche da parte di altri produttori, peccato.

- pedalata e camminata
 Se DZR voleva fare una calzatura rigida abbastanza per poter pedalare in modo efficente, ma allo stesso tempo comoda per poter camminare diversi kilometri come se fosse una scarpa da ginnastica posso affermare senza esitazione che hanno raggiunto in pieno il loro obiettivo.
Ovviamente non ci troviamo davanti a un prodotto da gara con suola ultrarigida e infatti quando si spinge veramente forte sui pedali un minimo di flessione è percepibile, ma non è nulla in confronto a quello che mi capitava con scarpe come le Vans Slip on dove, alla lunga, i bordi del pedale risultavano anche dolorosi. La possibilità di poter usare pedali automatici su una fissa ha un sacco di vantaggi: prima di tutto si può spingere ben più forte che con le gabbiette, poi l'aggancio del pedale a bici in movimento è facile e infine, se come nel mio caso la bicicletta è una conversione e non un pista e quindi col movimento centrale basso, portando a mano la bici non si dovrà più avere a che fare col rumoroso e fastidioso fenomeno delle gabbiette che strisciano per terra a ogni giro. E IMHO pure la linea della bici ci guadagna in positivo.
E in quanto a camminata, a parte che ci si dimentica che sotto alla suola c'è la tacchetta dell'spd, non c'è null'altro da dire. Anzi sì, qualcosa da dire c'è: proprio perché la suola ha un bel buco nel centro, nel caso si dovesse camminare su un pavimento bagnato l'aderenza sarebbe davvero precaria, ma basta saperlo. Su asciutto invece nessun problema. Il disegno della suola è mediamente liscio e infatti in mountain bike non mi sono trovato per niente bene in quanto avrei preferito avere qualche tassello un po' più aggressivo per non rischiare sempre di cadere nei tratti a piedi.
Insomma, nel complesso DZR ha creato un ottimo compromesso tra sportività e comodità, senza eccessi e che funziona molto bene.



- resistenza nel tempo
Sotto questo aspetto le scarpe le ho trovate un po' scarsine, soprattutto per un utilizzo su bici fissa, dove oltre a spingere bisogna anche tirare sui pedali, per esempio per skiddare. La cosa spiacevole che è successa è che dopo un paio di mesi alcune cuciture (cerchio rosso) stavano iniziando ad aprirsi. Così ho dovuto fare aggiungere dal calzolaio una cucitura di rinforzo per ogni lato (4 in totale) e per sicurezza ho pure infilato nei buchi del laccio più basso un cavetto d'acciaio (linea blu) tenuto fermo da due micro morsetti a vite. Ora le parti della scarpa sono decisamente più attaccate insieme di come lo fossero da nuove. Mi auguro che per i modelli dei prossimi anni DZR riesca a migliorare i suoi prodotti sotto questo punto di vista.
I lacci inizialmente erano elastici, ma dopo un po' di utilizzo e qualche acquazzone si sono allungati e hanno perso tutta l'elasticità iniziale.



- giudizio finale
Nel complesso DZR ha fatto un bel lavoro con queste scarpe. Ci sono alcuni difetti facilmente correggibili ma mi sento comunque di consigliare caldamente a chiunque avesse voglia di usare i pedali automatici in città l'acquisto di queste scarpe. Guardando ai futuri prodotti di quest'azienda sembrano interessanti le Minna che hanno un disegno rivisitato e promettono bene.

lunedì 16 gennaio 2012