Giro questo post su un blog che ho scoperto oggi e che probabilmente costituisce la migliore raccolta di idee e considerazioni ragionate in termini di ciclabilità urbana in Italia. Buona lettura!
Premetto che sono molto arrabbiato. Da ormai due settimane partecipo
attivamente alla campagna “Salviamo i ciclisti”, promotrice di un
ripensamento del luogo comune che vuole i ciclisti corresponsabili della
pericolosità delle strade. È un lavoro iniziato a Roma due anni fa,
avviato dalla morte di
Eva, proseguito attraverso il coordinamento
Di Traffico Si Muore, e che è finalmente approdato ad una dimensione nazionale.
Giusto ieri la fatidica goccia che fa traboccare il vaso: il comune
di Milano commemora la memoria di Giacomo, ragazzo di quattordici anni
schiacciato da un tram per colpa dell’apertura distratta della portiera
di un’auto parcheggiata in seconda fila. Lo fa con un “Manuale per la sicurezza del Ciclista”
in formato e-book (non intendo linkarlo, cercatevelo) nel quale, per
l’ennesima volta, di tutto l’onere della sicurezza sulle strade si fanno
carico unicamente i ciclisti, oltretutto ribadendo l’obbligo di “rispettare le regole” del CDS.
Difficile far comprendere a dei non ciclisti la rabbia che sto
provando in questo momento, come pure la vergogna che provo nei
confronti di quell’amministrazione comunale, specchio di ogni altra
amministrazione pubblica italiana, sottoprodotti di un elettorato pigro,
opportunista e conformista, appiattito sui luoghi comuni che i mass
media e la pubblicità delle case automobilistiche veicolano da decenni.
Difficile, dicevo, ma ci proverò. Con degli esempi.
Immaginate di voler “commemorare” la memoria di una donna
stuprata ed uccisa con un manuale di comportamento che inviti le donne
ad indossare il Burqa, a non uscire da sole, a rinunciare alla propria
autonomia e libertà.
Immaginate di voler “commemorare” i bambini mutilati ed
uccisi dalle mine anti-uomo fabbricate in Italia con un manuale che
suggerisca ai bambini che vivono nei teatri di guerra di non raccogliere
oggetti strani, e se possibile che le famiglie stesse non li facciano
uscire di casa.
Non vi sembrerebbero delle beffe crudeli? Non vi sembrerebbero proposte oscene?
Beh, qui siamo in una situazione del tutto analoga. Le strade
italiane mietono più vittime “civili”, ovvero utenti disarmati come
pedoni e ciclisti, di un qualsiasi teatro di guerra. Vediamo i funerali
di stato per occasionali soldati uccisi in Afghanistan, ma le migliaia
di vittime della motorizzazione di massa passano quotidianamente sotto
silenzio.
La stampa parla di “incidenti”, ma migliaia di morti ogni
anno, per decenni, sempre con le stesse dinamiche non sono
classificabili come incidenti, sono l’indicazione di un meccanismo
fallace, sbagliato, sostanzialmente criminale e purtroppo impossibile da
rimettere in discussione. La pericolosità delle automobili, la loro
parificazione con armi di offesa, è un tabù immenzionabile, un tragico “rimosso” della cultura contemporanea.
A questi signori, che pontificano dall’alto di lussuosi scranni di
cose che non conoscono, che non hanno mai percorso in prima persona in
bicicletta quelle stesse strade sulle quali veniamo falciati ed uccisi
quasi ogni giorno, che si limitano a buttarci un occhio annoiato mentre
vengono scarrozzati sulle auto blu, che hanno abbandonato le pubbliche
strade all’arroganza del più forte, alla cafonaggine del “più grosso”, all’abbandono ed al “far-west”, e nonostante questo pretendono di insegnarci quello che “dobbiamo fare” per la nostra sicurezza, vanno tutta la mia disistima ed il mio disprezzo.
Io lo so benissimo cosa devo fare per la mia sicurezza. L’ho imparato
sulla mia pelle in ventiquattro anni di ciclismo urbano sulle strade di
una città violenta e selvaggia come Roma. L’ho imparando vedendo amici e
conoscenti incidentati, traumatizzati, finiti in coma, morti.
Domandandomi ogni volta che si usciva insieme “Chi sarà il prossimo? A chi toccherà la prossima volta?” L’ho imparato e sono sopravvissuto.
E la dura lezione della strada è semplice e brutale: “dimenticati delle leggi fatte dagli altri… se vuoi sopravvivere le leggi fattele da te, e rispetta solo quelle”.
Il Codice della Strada italiano ha delle norme in teoria molto valide.
Ma se vengono sistematicamente ignorate e disattese, se non vengono
fatte rispettare a quelli che rischiano la pelle altrui e non la
propria, diventa ancor meno utile della carta igienica.
Il Codice della Strada ci obbliga a stare sulla carreggiata, ma non è
in grado di obbligare le automobili a sorpassarci ad una distanza di
sicurezza, negandoci di fatto la fruizione di quello spazio. Non
stupisca se a quel punto me ne prendo altri. Ho bici ammortizzate in
grado di salire e scendere al volo dai marciapiedi: mi prendo i
marciapiedi. Non sono meglio della strada, mi rallentano e mi fanno
litigare coi pedoni, ma rappresentano comunque un male minore rispetto
alle fratture o alla morte.
Le piste ciclabili sono fatte male, sconnesse, spezzettate, sporche,
semi-abbandonate, ingombre di pali, raffazzonate… se ho fretta mi
riprendo la strada, con buona pace del fatto che il CDS mi obblighi a
stare sulla pista.
E quando sono sulla sede stradale, se posso avvantaggiarmi di un
tratto libero dal traffico “bruciando” un semaforo in sicurezza non ci
penso su due volte. Più lontano mi tengo dalle automobili più
difficilmente potranno urtarmi. Passo sui prati, scendo scalinate,
imbocco strade contromano, ma non per divertimento o allegra
incoscienza, semplicemente per tutelare la mia sicurezza, dal momento
che né la legge né lo stato se ne preoccupano minimamente.
Non pretendo che questo mio comportamento venga preso a modello, non
sto qui ad incoraggiare altri a seguirlo, è semplicemente il risultato
di un’evoluzione personale. Non copiatemi perché su di voi potrebbe non
funzionare: servono riflessi pronti, esperienza, freddezza ed una esatta
percezione dell’istante.
Ma ho già visto troppi ciclisti rispettare le leggi e venir falciate
da altri che non le rispettavano, il tutto nell’indifferenza o con la
connivenza delle pubbliche amministrazioni a qualsiasi livello, nel
perenne rimasticamento di luoghi comuni dei mass-media, nelle “lacrime
di coccodrillo” del politico di turno. Non si può pretendere il rispetto
delle leggi da parte dei soggetti maggiormente penalizzati da quelle
stesse leggi, quando poi si abbandonano le strade al totale arbitrio,
all’anarchia, alla giungla.
Quello che mi sento di dire ai ciclisti è molto semplice: il rispetto
delle leggi non vale la vostra vita. Rispettate voi stessi, perché le
leggi non vi rispettano, né tantomeno gli utenti “corazzati” della
strada lo faranno. Tutelate voi stessi, perché il codice della strada
non vi tutela, gli organi preposti non vi tutelano, gli amministratori
pubblici non vi tutelano, i legislatori non vi tutelano.
Indossate pure il casco, ma non fidatevi del casco.
Accendete pure le luci di notte, ma non fidatevi delle luci.
Rispettate pure il CDS, ma non fidatevi del CDS.
Condividete pure la strada con le automobili, ma non fidatevi delle automobili.
E soprattutto… state attenti là fuori, è un mondo spietato.
E tale rimarrà finché non l’avremo cambiato.